Pagina 244 - Didattica delle Scienze

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Didattica > Progetti > Itinerari nel Lazio > Parco Monti Lucretili

L'attacco del sentiero che permette di attraversare il cuore dei Monti Lucretili si raggiunge da San Polo dei Cavalieri superando il centro e seguendo in auto la strada fortunatamente interrotta che giunge ai piedi del Monte Morra in località Prato Favale. Lasciata l'auto nel piccolo slargo che si apre immediatamente prima del vistoso sbancamento della sella del Monte Morra si prosegue a piedi per iniziare l'itinerario. Questa strada asfaltata avrebbe dovuto collegare due centri dei Lucretili, San Polo e Marcellina, di fatto già uniti da una carrozzabile che si snoda più a valle. Interrotta a seguito delle proteste degli ambientalisti, rappresenta un vero e proprio scempio perpetrato al cuore del territorio del Parco; se completata avrebbe costituito tra l'altro un facile accesso per tutte quelle attività fortemente impattanti legate ad un "uso improprio" del territorio. Superato l'imponente taglio stradale si giunge ad un piccolo spazio pascolivo in parte occupato dai materiali di risulta del taglio stradale; ci si mantiene sulla destra, in direzione nord, fino a raggiungere e superare Prato Favale, una delle aree di pascolo interne al massiccio. La morfologia è dominata dalla piramide carbonatica (Calcare massiccio, dolomie, megabrecce) triassico-giurassica del Monte Morra la cui serie stratigrafica è esposta nel taglio stradale. La forma movimentata del paesaggio è determinata dalle vallecole colluvio-alluvionali con suoli poco evoluti mentre la vegetazione appare fortemente condizionata nell'aspetto attuale da una destinazione secolare del territorio al pascolo brado sopratutto bovino, equino e caprino. Si tratta di formazioni forestali ed arbustive di ricostituzione con carpino (Ostrya carpinifolia), cerro (Quercus cerris), orniello (Fraxinus ornus) e pascoli arbustivi a prevalenza di prugnolo (Prunus spinosa), biancospino (Crataegus monogyna) e rovo (Rubus sp.). Proseguendo su un sentiero evidente ci si mantiene sempre in direzione nord verso l'interno del gruppo per poi raggiungere la suggestiva Valle Cavalera, uno dei percorsi di transumanza interna al massiccio a cui si richiama lo stesso toponimo. Questo tratto di percorso che giunge fino all'"anfiteatro Linceo" del Pratone di Monte Gennaro, rappresenta uno dei percorsi più suggestivi dell'intero complesso lucretile: un ampio tratturo che si snoda all'interno di una galleria pressocchè ininterrotta di faggi secolari impostati su un soprassuolo caratterizzato da una elevata pietrosità portato a nudo dal continuo passaggio di armenti. La vegetazione è costituita da boschi cedui matricinati e da formazioni in ricostituzione dell'Aquifolium-Fagetum e Fagetalia sylvaticae. Begli esemplari isolati di agrifoglio (Ilex aquifolium) mentre verso il tratto prossimo al Pratone si possono notare degli stupendi "patriarchi" di acero di monte (Acer pseudoplatanus), relitti di una foresta primaria ancora in parte esistente fino alla fine del XVIII secolo. Il percorso fino adesso impostato in un paesaggio chiuso dalla vegetazione permette di superare un dislivello di circa duecento metri, distribuito su un lungo tratto in modo graduale; a questo punto si apre un paesaggio morfologicamente diverso e contrastante, quello del Pratone. Si tratta di un ampio piano carsico, impostato alla quota di mille metri circa (1024 m) con una lunghezza approssimativa di un chilometro per una larghezza massima di cinquecento metri. Ricco di fenomeni carsici (doline e inghiottitoi) ha rappresentato per centinaia di anni una delle mete della transumanza interna al gruppo. Il pascolo è definito da una cotica erbosa di tipo mesofilo (prevalenza di Cynosurus cristatus, Lollium perenne, Trifolium sp.), dove infinite geometrie sono disegnate dalle macere a scco fino al limite imposto dalla fitta foresta che lo cinge interamente. Verso nord-ovest si erge la cima di Monte Gennaro (Monte Zappi 1271 m) caratterizzata dall'andamento a gradini morfologici arrotondati solcati da vallecole, solchi e conche caratteristici di quel particolare aspetto determinato dal carsismo e noto come "Schiene degli asini". Il paesaggio è dominato dalla presenza di numerosi capi di bestiame equino e bovino allo stato brado che possono in qualche modo aiutare ad immaginare cosa i neanderthaliani cercassero in questi ambienti di alta quota. La presenza di numerose "stazioni" musteriane all'aperto nell'area è probabilmente dovuta allo sviluppo di strategie di caccia specializzata operata al seguito di mandrie di ungulati che frequentavano la regione montuosa. La storia del luogo è legata anche all'attività scientifica della nascente (inizi XVII secolo) Accademia dei Lincei ed in particolare all'opera del suo fondatore il Principe di S.Angelo e S.Polo, Federico Cesi.- Proseguendo l'itinerario, sempre impostato su un percorso generalmente in piano, si supera un piccolo segmento di tratturo anch'esso al riparo delle fronde di maestosi faggi e aceri di monte, vero e proprio corridoio di collegamento nel sistema di pascoli d'altura del massiccio. In questi tratti coperti a debole pendenza, il continuo passaggio degli armenti causa nei periodi di maggiore piovosità, un processo di argillificazione dei suoli determinando lembi fangosi che rendono leggermente difficoltoso il passo. Si giunge così al piano carsico di estensione minore noto come "Campitello" (1028 m). Dall'inizio del percorso pittosto facile, tutto evidente e segnato, sono trascorse circa due ore. L'itinerario continua a percorrere tratturi dividendo in due l'ampia conca pascoliva; di origine analoga a quella del Pratone appare tuttavia paesaggisticamente diversa, con una forma meno delineata che conserva al proprio interno splendidi esemplari arborei di acero d'Ungheria (Acer obtusatum), acero di monte e faggio (Fagus sylvatica). Una sorgente (fonte di Campitello) alimenta due fontanili che approvvigionano gli animali gravitanti in quest'area interna del massiccio. Di particolare suggestione è proprio il passaggio continuo di mandrie che velocemente si spostano verso i fontanili. Il passaggio e l'ordine di abbeverata permette di osservare, ad esempio nei cavalli, la struttura gerarchica nei gruppi tenuti allo stato brado. I lembi del pascolo di tipo arbustivo sono caratterizzati dalla presenza di cespugli di biancospino, prugnolo, rosa (Rosa sp.) e agrifoglio con il caratteristico aspetto a cuscino sagomato dovuto all'insistente azione di pascolo. L'itinerario prosegue con una debole pendenza lasciando alle spalle Campitello e superando un breve diaframma roccioso nell'area della fonte Liana sempre sulla traccia di antichi percorsi interni di penetrazione. Proprio su questa sella affiorano livelli di Rosso ammonitico del Lias superiore con resti di ammoniti intercalati e fortemente corrugati dall'azione orogenetica. Il paesaggio vegetale è dominato da estese formazioni forestali del ceduo a prevalenza di faggio e sorbo (Sorbus aria) nei settori più rilevati, mentre nelle incisioni vallive a quote inferiori prevalgono fitte associazioni del Melittio-Ostryetum carpinifoliae, con cerro, roverella (Quercus pubescens), carpino orientale (Carpinus orientalis) e orniello. I lembi perimetrali dei boschi più fitti sono costituiti da stadi di ricostituzione forestale con vegetazione rampicante come il caprifoglio (Lonicera caprifolium) ed essenze legate a questi ambiti più aperti come il prugnolo (Prunus spinosa), la ginestra (Spartium junceum) e il maggiociondolo (Laburnum anagyroides) che con la fioritura precoce colora di giallo intenso le boscaglie. Il tratto seguente del percorso si snoda attraverso itinerari frequentati dalle genti dell'area sin da periodi molto antichi, momenti testimoniati sia da evidenze archeologiche sia da documentazioni storiche che permettono di individuare alcune valenze particolari dell'itinerario. La via percore l'incisione valliva del fosso di Vena Scritta, un corpo idrico a carattere stagionale il cui alveo scorre tra i calcari e i detriti colluvio-alluvionali formando piccoli e suggestivi salti di roccia e marmitte con cascatelle tra piccole pareti calcaree in una atmosfera ombrosa creata da un fitto bosco profondamente segnato dalle attività di produzione del carbone. Di estremo interesse la preservazione di una flora mesofila che vede la presenza dell'ormai rarefatto tiglio (Tilia cordata). Qua e là si notano grossi massi di crollo staccati dagli orli dei pendii di frattura erosi dall'azione delle acque. Su uno dei massi più evidenti si legge una iscrizione di età romana - F.Q.S. M.ARRE - da cui deriva il toponimo Vena Scritta del fosso, che testimonia la percorrenza di queste vie interne in passato. A questo punto usciti dal fitto bosco e giunti in una piccola radura pascoliva ai piedi del Monte Marcone, luogo di intersezione tra percorsi provenienti dai centri della area pedemontana, si piega decisamente verso occidente seguendo l' incisione del fosso delle Forme-Vena Caprara. Questo tratto di percorso è parte di un'antica via di pellegrinaggio locale legata alla devozione della Madonna dei Ronci, al cui culto era stata dedicata una chiesa campestre oggi in rovina. L'ambiente è dominato da fitte formazioni forestali impostate nelle valli e vallecole che si protendono verso la valle dell'Aniene incidendo i versanti del settore montano. Le coperture del querceto misto con prevalenza di cerro, roverella, carpino, orniello alternate a lembi con associazioni spiccatamente termofile legate all'esposizione dei versanti con terebinto (Pistacia terebinthus) e albero di Giuda (Cercis siliquastrum) dalla bellissima precoce fioritura rosa si avvicinano al 90%. Nel tratto che conduce ai resti della chiesa della Madonna dei Ronci occorre fare molta attenzione all'orientamento e a non perdere il sentiero difficilmente riconoscibile a causa delle numerose piste del bestiame brado, inoltre la stessa vegetazione a portamento arbustivo dovuta al pascolo crea una fitta macchia che non permette l'individuazione della traccia principale. Le intricate formazioni forestali e arbustive e la morfologia fortemente movimentata e accidentata delle valli (ad esempio la valle del fosso dei Ronci) costituiscono l'habitat idoneo per la persistenza di una cospicua comunità animale, rifugio del comune cinghiale (Sus scrofa), della lepre (Lepus europaeus) che frequenta inoltre i pascoli d'altura, della rara martora (Martes martes) e di tutte quelle specie ornitiche legate al biotopo forestale e arbustivo. Non è difficile osservare l'apparizione del veloe sparviero (Accipiter nisus), il volteggiare della grande poiana (Buteo buteo) e più raramente del falco pecchiaiolo (Pernis apivorus) mentre più facile udire il picchio verde (Picus viridis) e il richiamo nel fitto dei boschi del cuculo (Cuculus canorus). In una radura del pascolo arbustivo si innalzano i resti della chiesa della Madonna dei Ronci, risalente alla prima fase dell'incastellamento altomedievale (XI-XII secolo), collegata ai resti del castello di Poggio Runci situato lungo lo stesso percorsoin direzione di San Polo dei Cavalieri. Alla fine del XVIII secolo vengono menzionati pellegrinaggi e processioni che si tenevano il primo e il sei maggio a devozione dell'immagine sacra ritenuta protettrice dalle avversità atmosferiche della siccità e delle piogge eccessive. Il pellegrinaggio aveva una funzione magico-protettiva contro i danni al raccolto, una funzione socializzante tra centri della fascia pedemontana le cui genti compivano tratti del percorso insieme. Attualmente della struttura rimangono pochi resti: parte dell'alzato costituito da mura realizzate con la caratteristica tecnica di conci regolari e scaglie di calcare legate da malta e il portale in grossi blocchi di calcare a grana fina recentemente crollato. Dinanzi quella che doveva essere la facciata si nota un vasto slargo privo di vegetazione arbustiva con tracce di piancito in scaglie calcaree. Superata la Madonna dei Ronci, l'ultimo tratto dell'itinerario permette di apprezzare appieno le caratteristiche del paesaggio con la morfologia movimentata dei profondi solchi vallivi che si aprono verso lo spartiacque dell'Aniene e successivamente di procedere, risalendo di quota, verso i resti del castello di Poggio Runci o Muraccia del Poggio. In questo tratto bisogna mantenersi verso il versante orientale di Monte Arcaro dove il percorso torna evidente. Mentre l'ambiente rimane sostanzialmente simile con il cambiamento nel portamento della vegetazione verso un assetto arboreo, quello che ancora una volta emerge è l'interesse storico dell'itinerario. Si incontrano i resti di uno dei castra fortificati dell'XI-XII secolo, possedimento degli Orsini già alla fine del XIII secolo e abbandonato nel XIV secolo. La struttura conserva parte della cinta muraria e dei corpi interni con alzati realizzati in scaglie e conci calcarei le cui fondazioni poggiano direttamente sul substrato calcareo. Di particolare interesse l'adattamento all'ambiente ruderale della vegetazione arbustiva e rampicante. L'ultimo tratto da percorrere per di raggiungere la strada asfaltata, non riportata sulla vecchia base cartografica IGMI, presenta segmenti ben conservati dell'antico percorso con sostruzioni a secco che conduceva al castello impostandosi sulla sella che separa i due

Web by Flavio Comandini
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